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In Psicologia il termine Flow indica uno stato di concentrazione assoluta, in cui la mente non vaga e in cui la persona è completamente immersa in quello che sta facendo, incantata da un turbinio di positività e gratificazione.

Si può amare ciò che ci fa stare male? sulle orme della dipendenza affettiva...

Nella società odierna sentiamo sempre più parlare di dipendenza, nelle sue più svariate sfaccettature, accomunate spesso dal medesimo bisogno, quello di difendersi da vissuti ed emozioni non tollerabili.

Nella società odierna sentiamo sempre più parlare di dipendenza, nelle sue più svariate sfaccettature, accomunate spesso dal medesimo bisogno, quello di difendersi da vissuti ed emozioni non tollerabili. E proprio a tal fine il dipendente si lega alla sostanza, nella speranza di "anestetizzarsi", di non sentire, alla slot machine, con l'intento di negare a se stesso la realtà che lo circonda, a relazioni affettive, pur di non trovarsi solo di fronte alla vita e alle sue inevitabili sorprese. Stiamo assistendo quindi al proliferare di nuove dipendenze, alle quali sempre più persone si avvicinano, alimentate dall'incessante nascita di strumenti virtuali e alienanti e mosse dalla paura di sentire, di vivere pienamente, di lasciarsi andare. Tra queste una delle più recenti e "in voga" è la dipendenza affettiva o "love addiction" . Un disturbo estremamente insidioso che ripropone continuamente alla persona il suo bisogno dell'altro per sentirsi viva, riconosciuta, accettata e amata. Caratteristiche che fanno parte del nostro patrimonio genetico che ci porta innatamente a legarci e a relazionarci all'altro ma che possono trasformarsi in bisogni insaziabili. In una contesto storico in cui si vanno sempre più a ridurre i confini dell'intimità personale e le possibilità di contatto autentico con l'altro, risulta immediato l'impatto che tali trasformazioni possono avere sulla persona cosiddetta "dipendente affettiva"che si ritrova spesso persa, alla ricerca di stampelle. WhatsApp, Facebook, Instagram diventano mezzi di controllo, relazione, incontro, conferma che privano l'individuo della possibilità di percepire il limite, di toccare con mano le sensazioni e che soprattutto alimentano la continua ricerca di quel "Mi piace" da cui dipende la propria autostima oltre che la propria esistenza. Ed è alla luce di tali presupposti che si può iniziare ad amare ciò che ci fa stare male. Pur di sentir soddisfatto quel bisogno famelico di essere visti, apprezzati ed anche solo sfiorati dalla presenza dell'altro, può capitare di accomodarci in situazioni e relazioni malsane dove si arriva a perdere il senso della propria identità. Nella dipendenza affettiva non esiste un IO e un TU ma un NOI simbiotico, avvolgente, vorticoso dal quale diviene faticoso prendere le distanze. E allora ogni gesto, movimento, sensazione viene mosso da quel turbinio che ci impedisce di sentire, pensare ed agire in maniera autonoma. Troppo doloroso farne a meno perché ci è familiare,perchè ricorda legami antichi, perché risulta impossibile vedere oltre quella nube amorosa. Relazioni talmente travolgenti, burrascose nei loro movimenti, da far credere che non esiste nient'altro di così intenso e appagante. Una droga vera e propria, caratterizzata da i classici strascichi dell'astinenza e della dose. L'altro sembra non bastare mai, nonostante i suoi insulti, i suoi schiaffi, le sue assenze, la sua rabbia. Tutto appare come un atto di ineguagliabile amore nei propri confronti. E allora ci troviamo ad accettare quella svalutazione continua che mina insidiosamente la nostra identità, spolpandola lentamente a tal punto da non trovare nessun appiglio se non quella "stampella esterna" rappresentata dall'altro. Un legame che diviene una catena che può farci desiderare di morire piuttosto che farne a meno e che lentamente ci porta ad allontanarci da tutto e da tutti. Come ci racconta Sartre, il paradosso più profondo dell'amore consiste nell'amare la libertà dell'altro ed allo stesso tempo voler essere l'unico detentore di quella libertà. Si vuole l'amata/o libera/o e prigioniera/o. "E' dunque destino che dove un uomo trova la sua beatitudine lì pure deve trovare la sorgente della sua infelicità?" Si chiede Werther nel "I dolori del giovane Werther", rappresentazione emblematica dell'amore appassionato, impossibile, da cui dipende la vita del protagonista. Amore che da movimento di armonia, gioia, pace diviene motivo di sofferenza. Ed è in quel momento che ci dimentichiamo di avere la possibilità di scegliere, di dire BASTA, di smettere di sacrificare la propria vita per l'altro. Tornare ad amarsi, a vivere liberamente, a dare valore a quelle sensazioni dimenticate e a quel corpo completamente avviluppato dall'abbraccio soffocante dell'altro, questo è ciò che ci perdiamo, annebbiati da quella pozione d'amore. ...smarrito, aggrappato all'altro, debole ma con la possibilità "in tasca" di riprendere in mano il potere sulla propria vita e di iniziare a nutrirsi di legami sani e gratificanti in cui innamorarsi ... da protagonista.